Quando il tempo era bello, si giocava per strada, sotto l’occhio
vigile delle mamme affacciate ai balconi, che all'inizio del carosello ci richiamavano per la cena. Le grida spensierate dei bambini si mescolavano, tra terra e cielo, coi garriti delle rondini, dando vita a composizioni musicali
che mai più avrei dimenticato.
Ci si divertiva in tanti modi e con vari oggetti: palla,
corda, pattini. Per giocare a campana bastava una pietra. I benestanti avevano la
bici. Ma i giochi più belli erano quelli di gruppo. Tra questi, il mio preferito era il gioco delle
belle statuine, che mi ha lasciato un segno indelebile nell'anima. Solo da adulta
ho capito fino in fondo perché.
Il gioco si svolge così. Un gruppo di bambini forma un
girotondo e chi guida il gioco canta una filastrocca. Quando il canto finisce
il girotondo si scioglie di colpo e ogni bambino si ferma nella propria posa ad
occhi chiusi. A questo punto la guida si avvicina, in punta di piedi, a risvegliare
uno ad uno i “dormienti”, mettendo al centro del girotondo il prescelto, cioè il
bambino dalla posa più bella, che diventa la nuova guida. E il
gioco ricomincia.
Ero ferma nella mia posa, ad occhi chiusi. Attendevo il
tocco leggero di mano che mi avrebbe risvegliato. Il tempo passava e non
succedeva nulla. Troppo silenzio intorno.
Decido di socchiudere almeno un occhio, anche se la lealtà nel gioco era una regola ferrea.
Ma gli occhi si sono aperti insieme, e di colpo, quando mi sono vista circondata, sì, ma non dal girotondo di visi conosciuti… intorno a me stava un gruppo di zingari del campo rom, dei quali avevo
tanta paura perché così mi avevano insegnato a fare. Mi guardavano con aria palesemente incuriosita, senza capire che cosa ci facessi in mezzo a un marciapiede, sola, in quella posa assurda…
Con una corsa forsennata ho raggiunto il mio gruppo di piccoli
amici che nel frattempo si erano andati a nascondere dietro un palazzo vicino lasciandomi in balìa dell'ignoto.
Non ho più dimenticato quella sensazione di puro terrore, di
umiliazione e di sdegno per essere stata abbandonata senza alcuna pietà.
Ma oltre a queste, una sensazione indecifrabile si è
aggiunta nel tempo. La sensazione di avere vissuto qualcosa di importante, di avere ricevuto un insegnamento segreto.
Solo dopo tanti anni, dopo avere ritrovato il senso più profondo della mia vita, è diventata chiara.
Perché ora so che ognuno di noi ha bisogno di essere “risvegliato”
dal buio dell’incoscienza, dal buio dell’attesa, dell’immobilismo che ci esclude
dalla gioia di essere parte di un mondo luminoso.
So che ognuno attende una mano che con tocco leggero ci risvegli dal sonno. Come quella che un giorno ha risuscitato me. Ora
voglio anch'io essere mano che risveglia.
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