Quello che le
parole non dicono è l’immagine a rivelarlo.
Le immagini fanno
parte integrante della vita, fin dal principio dell’esistenza.
Ci trasmettono con
forza il loro messaggio intrinseco, sono in grado di produrre in noi sensazioni
negative o benefiche. Possono turbarci profondamente. Oppure aiutarci a
guarire, mettendoci in contatto con la cellula più profonda del nostro essere,
quel rifugio incontaminato dove ognuno può ritrovare le vere radici a cui
attingere.
Penso alle tante
immagini della Bibbia. Mi viene in mente il pozzo dove Gesù incontra la
Samaritana. Ed è davanti ad un pozzo che Giacobbe si ferma e incontra Rachele,
che diventerà sua moglie. Sempre presso un pozzo, Mosè incontrò Zippora, sua
futura moglie.
Il pozzo
sembrerebbe il luogo dove lo sposo incontra la sposa. Immagine del luogo dove l’anima
incontra il suo Dio.
Le parole plasmano
immagini che si fissano sulle pareti del nostro mondo interiore, a volte
rievocano qualcosa che già esiste in noi e di cui non siamo consapevoli. E che
non ricordiamo più. Fino a quando non ritroviamo quello sguardo desideroso di
riaffacciarsi verso la potente vastità delle cose invisibili all’occhio.
Occhi che ci
permettono di esplorare lo spazio del sogno e di altre visioni.
Ho scoperto per
caso l’esistenza di un fotografo sloveno – Evgen Bavcar – che all’età di dieci
anni ha perso la vista e poco dopo ha iniziato a voler raccontare la realtà
attraverso il suo buio.
Per lui la luce è
nostalgia di vedere con occhi innocenti. I suoi scatti parlano di immagini
interiori. Il mondo da descrivere passa attraverso i suoi polpastrelli e il
tocco leggero delle dita del poeta.
Per lui la notte è
anche il luogo della nascita della luce.
La sua visione del
mondo è descritta in una favola.
“In un villaggio
di ciechi arriva un elefante. Alla sera, di fronte al fuoco i ciechi descrivono
l’elefante. Chi ha toccato il naso dice: E’ come un lungo tubo. Chi ha toccato
le orecchie: è come un tappeto. Chi ha toccato una gamba: è una colonna.”
“Anche noi – dice –
siamo così: tutti ciechi di fronte all’universo.”
Ma è proprio la sua testimonianza così straordinaria a dirci che non tutto
quello che si può vedere passa attraverso i nostri occhi. E come lui, ce lo testimoniano i
bimbi, che sanno destreggiarsi così bene tra la realtà visibile e quella
invisibile.
A ricordarci che è
solo dentro di noi, nella nostra mente e nel nostro cuore liberato da
condizionamenti e pregiudizi, che possiamo riunire le due parti. Ed è in
questo spazio interiore che possiamo coltivare e costruire la nostra unità, la
nostra identità.
Ritrovare la nostra
vera immagine.
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