domenica 23 novembre 2014

L'esodo da Buoncammino

La città di Cagliari sembra sotto assedio. Chiusi al traffico i tratti di strada tutt’attorno a Buoncammino per il grande esodo dei detenuti. Dei ristretti, come ora si preferisce chiamarli.
Dalla piccola chiesa di san Lorenzo, posta in cima alla collina dove sorge il carcere, oggi all’uscita della messa ho assistito alle operazioni di trasferimento. Polizia e carabinieri sparsi ovunque, vigili urbani a dirottare il traffico verso le vie più esterne, mentre un elicottero sorvolava continuamente la zona compiendo cerchi nell’aria e il rombo assordante delle pale riempiva le orecchie e il cuore. Anche lui ristretto. Davanti a me un pugno di persone rivolgeva grida di saluto a facce lontane e paia di mani aggrappate alle sbarre delle finestre: “Ciao Michele, a presto! Ciao”. Voci lanciate a piccole figure drammatiche, già più distanti.
Sarà che l’aria era piena di suoni irreali, sarà che quei saluti mi hanno toccato il cuore, sarà che ogni domenica i piccoli racconti di vita quotidiana gridati da un costone all’altro della collina erano diventati parte del sacrificio della messa: “Come stai?” “Io bene!” “E il bambino come sta? A scuola?”, mentre un coro di fedeli, dentro la chiesa, accompagnava lo scambio di notizie familiari con il Padre Nostro.
Ma ora quel Padre Nostro sarà un po’ più spoglio, senza quelle voci a ricordarci che prima di chiedere perdono dei nostri errori è bene ricordarsi di perdonare quelli altrui.




domenica 16 novembre 2014

La busta bianca



L’altro giorno, tornando a casa, ho trovato sul mobile una busta bianca indirizzata a me. Una di quelle buste che contengono una richiesta di aiuto per i tanti bisogni che montano ovunque come l’alta marea e che si infrangono con un ultimo respiro affannoso sui mobili d’ingresso delle nostre case, nella speranza di non finire miseramente nel cestino ancora sigillate ma di essere almeno aperte e lette da qualcuno. Dentro la busta, insieme ad una lettera di sensibilizzazione, c’era un libriccino colorato, con una storia per bambini. Il racconto narrava le vicissitudini di un piccolo bruco che dopo un bellissimo sogno in cui si trovava in cima una montagna da cui si dominava l’intera vallata, decide di mettersi in viaggio per raggiungere quel luogo. Strada facendo incontra una coccinella che, saputo dal bruco le sue intenzioni, gli dice “Ma tu devi essere pazzo! Per te, un sassolino sarà come una montagna, ogni pozzanghera un mare e ogni cespuglio una barriera impossibile da oltrepassare.” Ma il bruco è troppo deciso a seguire il suo sogno e nonostante i consigli degli altri animali che incontra, tutti contrari a quest’avventura pericolosa e impossibile, continua il suo cammino. Fino al momento in cui, troppo stanco per continuare, si ferma immobile. Per giorni tutti gli animali si avvicinano a guardare i resti dell’animale più pazzo del mondo, morto per avere inseguito il suo sogno impossibile. Ma all’improvviso da quel bozzolo grigio sbucano due grandi occhi su due lunghe antenne e un paio di bellissime ali colorate. In un istante prende il volo e raggiunge la cima della montagna. Il sogno è finalmente diventato realtà.


Chi mi ha spedito questa bella storia è una associazione che si occupa di bambini sordociechi e pluriminorati psicosensoriali. Si, perché ci sono tanti bambini che nascono privi contemporaneamente del dono della vista e dell’udito e che crescono isolati dal mondo e che possono comunicare con l’esterno soltanto attraverso il tatto, e in qualche misura con l’olfatto e il gusto. Certo, non si può minimamente immaginare a quali conseguenze si va incontro, a causa di questa menomazione, nelle infinite situazioni del vivere quotidiano. E quanto può risultare complicato e  frustrante per chi si occupa di questi piccoli, tentare di inventarsi un linguaggio nuovo per poter dialogare con chi è così fortemente penalizzato ed escluso da una normale vita sociale. Quanto può essere difficile immaginare di creare un ponte tra questi bambini e il resto del mondo. Eppure ci sono persone di buona volontà che lo credono possibile. Anzi, non solo lo credono, ma sono già in cammino verso la cima della montagna, contro ogni ragionevole dubbio. Persone che lavorano con infinito amore e che, come il piccolo bruco, ci insegnano che i sogni possono diventare realtà. Anche grazie ad un piccolo gesto come quello di non cestinare una busta bianca, che in un giorno qualunque, è arrivata a bussare alla nostra porta.


giovedì 13 novembre 2014

I due gemelli


Oggi tanti si sentono perduti, privi di sostegno e privi di speranza nel futuro. Intorno il buio sembra prendere il sopravvento. Mi ha colpito in questi giorni la sofferenza profonda di alcune persone vicine che, non avendo neppure la grazia della fede, non sperano nel domani. Come se tutto ciò che hanno conosciuto, sperimentato, imparato e amato dovesse finire qui, nel nulla più assurdo. A loro dedico questa piccola storia di un anonimo autore...
Nel ventre di una donna incinta si trovavano due bebè. Uno dei due gemelli chiese all'altro:
- Tu credi nella vita dopo il parto?
- Certo. Qualcosa deve esserci dopo il parto. Forse siamo qui per prepararci per quello saremo più tardi.
- Sciocchezze! Non c'è una vita dopo il parto. Come sarebbe quella vita?
- Non lo so, ma sicuramente... ci sarà più luce che qua. Magari cammineremo con le nostre gambe e ci ciberemo dalla bocca.
- Ma è assurdo! Camminare è impossibile. E mangiare dalla bocca? Ridicolo! Il cordone ombelicale è la via d'alimentazione... Ti dico una cosa: la vita dopo il parto è da escludere. Il cordone ombelicale è troppo corto.
- Invece io credo che debba esserci qualcosa. E forse sarà diverso da quello cui siamo abituati ad avere qui.
- Però nessuno è tornato dall'aldilà, dopo il parto. Il parto è la fine della vita. E in fin dei conti, la vita non è altro che un'angosciante esistenza nel buio che ci porta al nulla.
- Beh, io non so esattamente come sarà dopo il parto, ma sicuramente vedremo la mamma e lei si prenderà cura di noi.
- Mamma? Tu credi nella mamma? E dove credi che sia lei ora?
- Dove? Tutta intorno a noi! E' in lei e grazie a lei che viviamo. Senza di lei tutto questo mondo non esisterebbe.
- Eppure io non ci credo! Non ho mai visto la mamma, per cui, è logico che non esista.
- Ok, ma a volte, quando siamo in silenzio, si riesce a sentirla o percepire come accarezza il nostro mondo. Sai?... Io penso che ci sia una vita reale che ci aspetta e che ora stiamo soltanto preparandoci per essa...

sabato 8 novembre 2014

Troverò ancora la fede nel mondo?

Dopo gli osanna i crucifige. Papa Francesco come Gesù: prima esaltato e poi condannato. Dopo la festa, una croce sul monte. E nel tragitto, le urla feroci degli amici di un’ora. «Ma quando tornerò – si chiedeva Gesù – troverò ancora la fede nel mondo?»
Il Papa, oggi alla guida di un sempre più piccolo e perseguitato gregge, ha il duro compito di custodire quel che resta della fede, per restituirla moltiplicata nel suo ultimo giorno. Con l’aiuto di Dio. E con la collaborazione di ogni cristiano. Ma non tutti quelli che si professano tali sono disposti a lasciarsi guidare dal vicario di Cristo fino alla meta. E le loro urla feroci inondano le pagine dei giornali e arrivano come uno tsunami sulla rete, tentando di avvelenare ciò che resta della fede.
«Quando tornerò troverò ancora la fede nel mondo? »
Questa domanda mi assilla, riguarda anche a me. Un interrogativo che spaventa, perché puzza di tradimento. Mi guardo intorno e vedo che ovunque la fede è messa a dura prova. E la mia? Può resistere ai colpi del nemico? Ovunque persecuzioni, disprezzo, odio, emarginazione, solitudine. Nell’indifferenza generale.
Forse quest’ultima è tra tutte la più pericolosa. La fede che scivola via a piccoli pezzi, giorno dopo giorno. La perdita di sensibilità che avviene nell’ombra, a nostra insaputa. Ma che alimentiamo da soli, nell’accettare un piccolo compromesso, una bugia detta a fin di bene (ma quale bene può portare la menzogna?). O nel chiudere un occhio davanti alle quotidiane ingiustizie che affollano i nostri giorni e si consumano in ogni luogo. Che anche noi compiamo, trovando sempre mille alibi per giustificare le nostre mancanze. A volte l’alibi è proprio dato dalla nostra “grande” fede, che ci porta ad erigerci a giudici dell'operato altrui, Papa compreso. E in nome di questa grande fede, ci si allontana dalla verità del messaggio di Dio, che ha come unico mezzo e come fine ultimo l’amore. 
No, senza la forza che viene da Dio, no, non possiamo sperare di custodire la nostra debole fede. Soprattutto quando subisce la prova dei tradimenti interni alla Chiesa. Ma il cammino è ancora lungo e illuminato dalla speranza che dopo la notte viene sempre il giorno. Perché – come dice Gesù – «Tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa. E le porte degli inferi non prevarranno contro di essa…»

mercoledì 5 novembre 2014

La bestemmia del dolore

Oggi ho letto su internet una lettera scritta da un uomo, un durissimo attacco alla Chiesa e ai cristiani. Visti i tempi, niente di strano. Tanti usano fare il tiro a segno su coloro che ancora resistono nel tenersi stretta al cuore la fede, nonostante i venti contrari soffino sempre più forte e sempre più ferocemente. Ma quella lettera, nonostante gli insulti al Cielo che a tratti sfioravano la bestemmia, mi ha colpito al cuore. Mi ha intenerita. Credo che l’intenzione di chi l’ha scritta fosse ben altra, i toni non lasciavano spazio a dubbi. Eppure, al di là di ogni ragionevole perplessità, ho provato un senso di grande dolore. Non per me. Per lui. Tra le righe sporche, in mezzo a tanto strepito, ho sentito con chiarezza che in quelle parole palpitava un’anima ferita, o profondamente delusa. Quel dolore così vivo e chiaro ha cancellato in me ogni residuo di barriera mentale: non vedevo più da una parte i cristiani, impegnati a difendersi, e dall’altra i nemici della Chiesa. Il suo grido disperato è rimbalzato dentro le pareti di un grande noi che tutto accoglie, dove c’è spazio e cibo e calore e amore per l’altro. Anche l’altro che sfoga la sua rabbia e il suo dolore sulla tua carne tenera. Ma la sua è piagata. Allora mi sono messa davanti alla mia piccola candela di Gerusalemme… e ho pregato per noi.

domenica 2 novembre 2014

Chiedo silenzio

 (Pablo Neruda)
Ora, lasciatemi tranquillo.
Ora, abituatevi senza di me.
Io chiuderò gli occhi
E voglio solo cinque cose,
cinque radici preferite.
Una è l'amore senza fine.
La seconda è vedere l'autunno.
Non posso vivere senza che le foglie
volino e tornino alla terra.
La terza è il grave inverno,
la pioggia che ho amato, la carezza
del fuoco nel freddo silvestre.
La quarta cosa è l'estate
rotonda come un'anguria.
La quinta cosa sono i tuoi occhi.
Matilde mia, beneamata,
non voglio dormire senza i tuoi occhi,
non voglio esistere senza che tu mi guardi:
io muto la primavera
perché tu continui a guardarmi.
Amici, questo è ciò che voglio.
E' quasi nulla e quasi tutto.
Ora se volete andatevene.
Ho vissuto tanto che un giorno
dovrete per forza dimenticarmi,
cancellandomi dalla lavagna:
il mio cuore è stato interminabile.
Ma perché chiedo silenzio
non crediate che io muoia:
mi accade tutto il contrario:
accade che sto per vivere.
Accade che sono e che continuo.
Non sarà dunque che dentro
di me cresceran cereali,
prima i garni che rompono
la terra per vedere la luce,
ma la madre terra è oscura:
e dentro di me sono oscuro:
sono come un pozzo nelle cui acque
la notte lascia le sue stelle
e sola prosegue per i campi.
E' che son vissuto tanto
e che altrettanto voglio vivere.
Mai mi son sentito sé sonoro,
mai ho avuto tanti baci.
Ora, come sempre, è presto.
La luce vola con le sue api.

Lasciatemi solo con il giorno.
Chiedo il permesso di nascere.

sabato 1 novembre 2014

Festa dei santi


Festa dei santi, di tutti i santi. Anche di quelli che non hanno nome e che magari hanno sfiorato per un soffio di tempo le nostre vite. Forse li abbiamo incrociati per strada, o sono saliti sul pullman dove avevamo preso posto. Li abbiamo guardati negli occhi senza conoscerli, ma nel loro sguardo abbiamo colto qualcosa che ci ha fatto sussultare il cuore di emozione, senza capire perché.

Qualcuno, invece, ci è stato più vicino, accompagnando i nostri passi con discrezione, in punta di piedi. Fino alla fine del loro giorno terreno. Penso alla mia tenera zia, che un ritardo mentale aveva relegato in un mondo di gioiosa infanzia, nonostante i suoi capelli bianchi e indomabili, come il suo sorriso. Per il mondo di fuori, un orpello inutile la sua esistenza. Per il nostro mondo familiare, un’oasi di purezza dove far riposare l’anima. Ciao zia. Grazie della tua santità.