Pensando al dolore, di qualunque natura, con ogni
probabilità verrà in mente la croce. Nel linguaggio comune, croce è sinonimo di
dolore. E pensando alla croce, è normale immaginare la croce latina, quella che
vediamo rappresentata ovunque e che ha un posto d’onore nelle nostre chiese.
Ma fin dai tempi più antichi l’uomo ha utilizzato il simbolo
della croce e ne esistono numerosi tipi, diversi per significato e provenienza.
Basta dare uno sguardo su internet per scoprire un mondo variegato ed
interessante. Tra i vari tipi, uno ha attirato la mia attenzione già da alcuni
anni, in modo particolare: la croce armena. E’ come la croce latina, ma sugli
angoli dei quattro bracci è rappresentato il trifoglio, simbolo della Trinità.
Ma questo l’ho scoperto solo dopo.
L’avevo vista per la prima volta dentro la
modesta cappella di un centro di recupero di giovani in difficoltà. Mi aveva
colpito la ricchezza e armonia di colori contenuti in quella croce appesa alla
parete bianca. In qualche modo mi aveva parlato all’anima sottovoce, a mia
insaputa.
Ho sentito per caso, pochi giorni fa, il racconto di un anziano
sacerdote, di ritorno dalla missione. Era rimasto profondamente colpito da una
croce armena che gli era stata regalata da alcuni giovani del posto: una croce
fiorita. Perché il popolo armeno associa alla croce la bellezza e la gioia. E ogni croce è personalizzata perché ciascuno partecipa in modo unico al sacrificio e alla risurrezione di Cristo.
Ararat, nome del monte dove si arenò l’Arca di Noè, in
lingua armena significa “Creazione di Dio”. Il monte si trova in Turchia, ma fino
a non molto tempo fa apparteneva geograficamente all’Armenia. Fin dall’Antico
Testamento questa terra ha avuto un ruolo speciale.
Secondo la tradizione il Vangelo fu portato in quel regno
dagli apostoli Giuda Taddeo e Bartolomeo. Nell’anno 301 d.C. l’Armenia proclamò
il cristianesimo religione di stato, diventando così il primo popolo cristiano
della storia.
Il cristianesimo è talmente incardinato nel popolo armeno
che, secondo quanto ha scritto un cronista, “ciò che distingue gli armeni non è
la loro razza ma la religione. Toglietegliela e gli avrete tolto la carta
d’identità.”
Ma loro no, non si sono fatti strappare la loro identità.
Hanno piuttosto preferito farsi strappare la vita.
Il 24 aprile 1915 è iniziato lo sterminio del popolo armeno
per mano dei turchi. Il primo genocidio del XX secolo. Circa un milione e mezzo di vittime innocenti. Un altro primato, questo,
di sicuro non desiderato.
I responsabili di tale orrore sono rimasti a tutt’oggi
impuniti e lo stesso governo turco ancora oggi nega che sia mai avvenuto. Rimangono
dolorosamente vive e attuali le parole dello scrittore ebreo Elie Wiesel, premio
Nobel per la Pace nel 1986, sopravvissuto all’Olocausto: “Il genocidio uccide
due volte, la seconda con il silenzio”.
Eppure quella piccola croce fiorita, che ha l’abbraccio
della Trinità, quella croce armena piena di colore e di gioia, racconta un’altra
storia: la storia di un popolo, quello cristiano, capace di far fiorire la
bellezza da ogni cosa. Anche dalla morte.