martedì 29 luglio 2014

Ascolta Israele

E’ tanto che rifletto su cosa sia l’ascolto. Credo da sempre. Sarà che, come tutti, ho spesso sofferto dell’assenza di ascolto. Noi ascoltiamo in tanti modi, una sola parola non è sufficiente per esprimere tutte le possibili varianti. Siamo tutti diversi. Come diversa per ognuno è l’attenzione. Eppure è così importante, anzi, fondamentale per la nostra vita di relazione incontrarci in uno spazio interiore di ascolto, che sia attento e partecipato. Uno spazio dove imparare ad ascoltare prima di tutto noi stessi. Dove imparare ad ascoltare Dio. Dove imparare ad accogliere l'altro. 
Penso allo Shemà (Ascolta) Israel – la bellissima preghiera ebraica che viene recitata due volte al giorno, al mattino ed alla sera:
“Amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima e con tutta la tua forza.
Queste parole, che ti ordino oggi, saranno sul tuo cuore: le ripeterai ai tuoi figli, ne parlerai quando siederai in casa tua e quando camminerai per strada, quando ti coricherai e quando ti alzerai.
Te le legherai come segno sulla mano e ti saranno come pendagli tra gli occhi; le scriverai sugli stipiti della tua casa e sulle tue porte…”

E’ l’immagine di un ascolto totale, che chiama in campo ogni singola cellula del corpo, della mente e dell’anima. Un ascolto che si traduce in vita, i cui effetti non ti abbandonano né in casa, né fuori, quando dormi o al tuo risveglio.
Come un pendaglio tra gli occhi…
Domenica, nella prima lettura della messa – tratta dal libro dei Re – si racconta che il Signore apparve in sogno al re Salomone e disse: “Chiedimi ciò che vuoi che io ti conceda”.
Gli rispose: “Concedi al tuo servo un cuore docile…”
Al momento dell’omelia il celebrante ha fatto una precisazione che mi ha folgorato riguardo alla traduzione del termine “docile”: in realtà sarebbe stato più corretto tradurlo in “ascoltante”.
Salomone, la cui sapienza ha attraversato i millenni per giungere fino a noi, ha chiesto a Dio un cuore ascoltante. La sua preghiera umile e sincera, piena di amore per gli altri, è stata esaudita.
E’ quanto oggi chiedo per me, con tutto il cuore. E' quanto chiedo per tutti coloro che incontro lungo il cammino della vita e per chiunque inciampi in queste righe.

Perché credo profondamente che con un “cuore ascoltante” riusciremo, tutti insieme, a fermare ogni guerra. A ritrovare la strada giusta. 
Credere che la forza dell’amore che sa ascoltare l'altro possa salvare il mondo, non è un'illusione. La vera illusione è credere che il mondo possa funzionare diversamente…


lunedì 28 luglio 2014

La tela del corpo

Sono come una tela, su cui lascio che il tempo scriva la mia storia. Con mano imprecisa, le ore ricamano nuove visioni sull’ordito dei giorni che passano. Ogni giorno nuove tracce, segnate sulla pelle nella notte, quando la paura riposa. Percorsi di piccole rughe su cui scorrono le fatiche non dette.
E non avrò paura quando i confini del corpo muteranno nello spazio, quando il sorriso
si stempererà in uno sguardo sommesso ma ancora abitato dalla luce.
Non temerò quando la roccia segreta si sgretolerà piano piano, lasciando varchi di aria e togliendo forza al cammino.
Non piangerò quando i monti scivoleranno a valle, abbassando le altezze e riportando lo sguardo alla terra.
Mi innalzerò ancora di più verso il cielo con lo spirito fatto leggero, abbandonando man mano il visibile per esplorare con la forza e il coraggio dei ricordi quel futuro che viene incontro, ancora pieno di sorprese da offrire.

La tela screpolata del mio corpo sarà lo strato fecondo su cui vedrò finalmente brillare frutti saporiti, maturati nel tempo, attesi da sempre.

venerdì 25 luglio 2014

Il cammino di Santiago


“Non sei tu a fare il cammino: è il cammino a fare te.”
Questa frase, sentita stamattina mentre passavo davanti alla radio, mi ha catturata.
A parlare era una voce di uomo, all’apparenza anziano, che raccontava del suo pellegrinaggio a Santiago di Compostela.
Un viaggio maturato per anni, fino a quando è arrivato per lui il momento giusto. Perché per ogni cosa c’è il suo momento, il suo tempo per ogni faccenda sotto il sole, ci ricorda il libro del Qoelet.
Per l’uomo della radio, il tempo giusto è arrivato la mattina in cui sua moglie – dopo averlo visto rientrare dall’ennesima passeggiata nei paraggi di casa – gli ha detto: “Io credo che sia ora che tu vada a Santiago”.
Tre giorni dopo ha inizio il suo avventuroso viaggio in solitaria. Da quel viaggio ritorna profondamente cambiato.
Una piccola storia per raccontare una grande storia, che ci riguarda tutti, in un modo o in un altro.
Perché in fondo ogni pellegrinaggio, e quello a Santiago in un modo speciale, è la metafora del nostro cammino terreno. Un viaggio in solitaria, anche quando lungo il percorso incontriamo anime che come noi cercano risposte. Ma il vero viaggio, come ci insegna ogni vero pellegrino, è quello che ci porterà a dire:

…Non sei tu a fare il cammino: è il cammino a fare te…


Tra immagini e visioni


Quello che le parole non dicono è l’immagine a rivelarlo.
Le immagini fanno parte integrante della vita, fin dal principio dell’esistenza.
Ci trasmettono con forza il loro messaggio intrinseco, sono in grado di produrre in noi sensazioni negative o benefiche. Possono turbarci profondamente. Oppure aiutarci a guarire, mettendoci in contatto con la cellula più profonda del nostro essere, quel rifugio incontaminato dove ognuno può ritrovare le vere radici a cui attingere.
Penso alle tante immagini della Bibbia. Mi viene in mente il pozzo dove Gesù incontra la Samaritana. Ed è davanti ad un pozzo che Giacobbe si ferma e incontra Rachele, che diventerà sua moglie. Sempre presso un pozzo, Mosè incontrò Zippora, sua futura moglie.
Il pozzo sembrerebbe il luogo dove lo sposo incontra la sposa. Immagine del luogo dove l’anima incontra il suo Dio.
Le parole plasmano immagini che si fissano sulle pareti del nostro mondo interiore, a volte rievocano qualcosa che già esiste in noi e di cui non siamo consapevoli. E che non ricordiamo più. Fino a quando non ritroviamo quello sguardo desideroso di riaffacciarsi verso la potente vastità delle cose invisibili all’occhio.
Occhi che ci permettono di esplorare lo spazio del sogno e di altre visioni.
Ho scoperto per caso l’esistenza di un fotografo sloveno – Evgen Bavcar – che all’età di dieci anni ha perso la vista e poco dopo ha iniziato a voler raccontare la realtà attraverso il suo buio.
Per lui la luce è nostalgia di vedere con occhi innocenti. I suoi scatti parlano di immagini interiori. Il mondo da descrivere passa attraverso i suoi polpastrelli e il tocco leggero delle dita del poeta.
Per lui la notte è anche il luogo della nascita della luce.
La sua visione del mondo è descritta in una favola.
“In un villaggio di ciechi arriva un elefante. Alla sera, di fronte al fuoco i ciechi descrivono l’elefante. Chi ha toccato il naso dice: E’ come un lungo tubo. Chi ha toccato le orecchie: è come un tappeto. Chi ha toccato una gamba: è una colonna.”
“Anche noi – dice – siamo così: tutti ciechi di fronte all’universo.”
Ma è proprio la sua testimonianza così straordinaria a dirci che non tutto quello che si può vedere passa attraverso i nostri occhi. E come lui, ce lo testimoniano i bimbi, che sanno destreggiarsi così bene tra la realtà visibile e quella invisibile.
A ricordarci che è solo dentro di noi, nella nostra mente e nel nostro cuore liberato da condizionamenti e pregiudizi, che possiamo riunire le due parti. Ed è in questo spazio interiore che possiamo coltivare e costruire la nostra unità, la nostra identità.

Ritrovare la nostra vera immagine.

lunedì 21 luglio 2014

Porte segrete


Ci sono porte segrete nascoste in ogni storia. Tanto segrete che a volte neppure il narratore ne è consapevole, e le spalanca a sua insaputa, offrendoci così la visione di beni preziosi. Dimenticati.
E’ accaduto qualcosa di simile poco tempo fa, quando un’amica ha voluto condividere con me l’emozione che ha provato leggendo l’autobiografia di un autore russo in cui ricordava la sua infanzia, vissuta nel terrore di un padre severo e addolcita dalla presenza di una madre pia e piena di tenerezza.
Ma è in queste poche parole che è contenuta la porta. Ed è attraverso questa che ho potuto ritrovare la mia perla preziosa. Il ritratto di un mondo pieno di forza e di vera bellezza.

 “In un angolo della casa c’era un piccolo inginocchiatoio posto davanti a un altarino. Quando era il momento di pregare, mia madre si gettava in ginocchio, fissando l’immagine sacra si faceva un lento segno di croce ed entrava in un’altra dimensione.”

Un’immagine antica e potente, soffusa di dolcezza: una madre in preghiera. Ma c’è molto di più. C’è una madre che nella preghiera si “tuffa” e con un semplice segno di croce è capace di passare dalle stringenti necessità della vita quotidiana, spesso dura, ad una dimensione filiale.
Il mondo dei bambini nello spirito. Si, perché i bambini osano domandare con semplicità. Con semplicità chiedono di essere amati. E lo fanno senza tante parole.
Un bambino si fida senza timore. Ha il cuore aperto. E tutto quanto fa, anche se ripetuto all’infinito, è ogni volta nuovo.
Perché i bambini non conoscono l’abitudine.
Per i bambini non esistono minuzie. Ogni cosa, nel suo mondo, è enormemente importante e fonte di continua meraviglia.
Perché i bambini sanno, molto più di noi, che la nostra vita è solo una particella di qualcosa di grande e misterioso. Ancora da scoprire. Da vivere nella pienezza. In un gesto di filiale abbandono.



sabato 19 luglio 2014

Profumi di eternità


Il rosa
Che accende questo cielo
Profuma l’aria di arrivi
Ancora lontani
E partenze
Che già palpitano in cuore
Ma che gli occhi
Non sanno ancora guardare.

Oggi ho salutato il papà della mia cara amica: partiva per un viaggio lungo, lunghissimo. Eterno. Tre sillabe difficili da pronunciare, da mettere i brividi.
E - TER - NO…
Possiamo provare ad avvicinarci, in punta di piedi, al sottile confine tra la vita e l’aldilà, possiamo desiderare di gettare uno sguardo oltre il tempo, con occhi pieni di lacrime e cuore straziato quando il saluto ci tocca così da vicino. Ma l’ignoto ci sovrasta, costringendoci a prendere atto della nostra fragilità davanti alla morte. Davanti al mistero del dopo.
Perché, in fondo, il senso di tutto è racchiuso in quell’ultimo passo.
“Secondo te, perché sono così serena ora? E’ normale?” – mi ha domandato l’amica, nei cui occhi leggevo un dolore grande, tanto grande. Eppure scintillavano di luce.
E’ perché hai fede… – le ho risposto – la fede fa la differenza.”
Abbiamo parlato sottovoce, mentre le spoglie del papà venivano amorevolmente deposte nella sua piccola dimora terrena. 
Dall’ovale di ceramica ci sorrideva sornione, quasi divertito da tutto quell’assembramento di gente venuta proprio per lui.
“Si – ha ripreso lei – lo sento qui, lo sento vicino. E’ vivo.”
Non erano parole di autoconsolazione. Semplicemente l’espressione di un cuore dal quale sono caduti i veli della pura razionalità e che è entrato in sintonia con una dimensione sottile e invisibile. Ma altrettanto reale.

Perché solo un cuore rinnovato dalla luce della fede è capace di gettare lo sguardo oltre il tempo, oltre lo spazio.
Solo un cuore rinnovato dalla luce della fede è capace di accogliere la verità sull’Amore.
E la verità è che non esiste la morte, perché siamo fatti per l’eternità.


venerdì 18 luglio 2014

Essere madri


La madre, in Oriente, per svezzare il proprio bambino si colora il seno di nero. Così il bambino non lo desidera più e in qualche modo avverte che la madre lo costringe ad allontanarsi da lei.
Lo svezzamento può provocare, nel piccolo, rabbia verso la sua mamma, perché gli toglie il cibo e la sorgente del piacere. Lo priva del senso di protezione, tanto prezioso e consolante. Ma anche la mamma patisce il distacco. E’ un gesto che costa ad entrambi. Un passo che richiede sacrificio e determinazione al bene, che va compiuto quando arriva il tempo giusto. Nel tempo stabilito per quella crescita.
Solo così il bambino può essere accompagnato ad entrare in una fase diversa, verso una conquista. Un passo importante verso la sua futura indipendenza.
Essere madri non è semplice. Essere madri è una missione per la quale è richiesta generosità nella donazione di sé. Generosità nella rinuncia all’esclusiva. Amore. Umiltà nella disponibilità ad imparare ogni giorno qualcosa di nuovo. Essere madri è, semplicemente, un grande dono. E a fronte di ogni dono, come Dio ci insegna con la Parola e con la Vita, c’è sempre una grande responsabilità.
Penso a San Giovanni Battista, che come voce di uno che grida nel deserto ammoniva di preparare le vie del Signore, raddrizzare i suoi sentieri.
In qualche modo, lo associo alla missione che ogni madre ha verso il proprio figlio: preparare le vie del futuro, raddrizzare i sentieri difettosi, colmare i burroni delle mancanze, spianare i colli della superbia.
E, di fase in fase, colorarsi il seno di nero e, con disinteressato amore, predisporsi ai salutari distacchi. Seppure dolorosi. Rendendoli infine autonomi e capaci di camminare per il mondo. Liberi.

Madre è chiunque sappia aiutare uno dei nostri piccoli, dei nostri giovani, a crescere. Essere madre, essere genitore, è un dovere di ogni adulto che sia davvero tale. Non è un diritto. E’ un grande dono.

giovedì 17 luglio 2014

Pagina bianca


Una pagina bianca. Tutta da riempire, di lettere, parole, punteggiature, spazi. E contenuti. Perché non si vive di soli segni, per quanto belli e forbiti, convincenti ma forse vuoti di senso.
In fondo, un po’ come nella vita.
Possiamo pure vestirci di segni esteriori, riempire i nostri bianchi giorni di parole e punteggiature. Possiamo usare i caratteri più eleganti e belli, evidenziandoli col grassetto. Ma, dire il vero, con pochi spazi per riflettere. Veramente pochi. E i contenuti vengono meno.
In fondo, un po’ come nel mondo.
Lo riempiamo delle nostre costruzioni, riempiamo dei nostri bei segni di cemento la terra, scriviamo sopra la natura, e perché no, scriviamo pure sopra quella piccola parola che è alla base della vita stessa. Perché i contenuti della natura, quelle parole che hanno sostenuto e che continuano a sostenere la nostra esistenza da un tempo incalcolabile, sono di colpo venuti meno.
Mani d’uomo hanno voluto scriverci un punto e a capo.

Una pagina bianca. Tutta da riempire.
Prima di tracciare il prossimo segno, solleviamo per un attimo lo sguardo al Cielo.
Forse là troveremo quei contenuti che ci faranno scrivere anche oggi qualcosa di speciale. Nella Verità.

mercoledì 16 luglio 2014

Monte Carmelo

Oggi è il giorno della Madonna del Carmelo. Ci parla di un cammino di ascesi, costellato di fatiche. E di doni celesti. Cammino che riguarda ognuno di noi, credenti e non credenti, riottosi o zelanti, animati dalla gioia e oscurati dal timore. Saliamo al monte. Protesi verso la cima, verso il mistero dell’Incontro.


Il Monte Carmelo, dove il profeta Elia, che lì dimorava in una grotta, vide la Vergine che si alzava come una piccola nube dalla terra verso il monte, portando quella pioggia che avrebbe salvato Israele dalla siccità.
Immagine della fecondità e della vita che Maria ha donato al mondo attraverso il Verbo divino, suo Figlio.

E insieme si risvegliano profili di altri Monti, che esercitano nel tempo un richiamo irresistibile, al quale ci agganciamo per ritrovare le nostre radici più profonde.
Sion – Sinai (Horeb) – Monte Carmelo – Tabor (Hermon) – Monte degli Ulivi  – Calvario (Golgota): nomi che racchiudono la storia e il cammino dell’umanità e di ogni singolo uomo. Luoghi che ci parlano di un popolo chiamato alla gioia. Parlano di noi.

Sion è il monte della fede. E’ il luogo dove Dio è sceso per incontrare l’uomo, dove Dio ha incontrato Abramo, padre di molte genti, primo patriarca dell’ebraismo, dell’islam, del cristianesimo.
Su quel monte Abramo è salito per offrire tutto quanto aveva di più prezioso: l’unico figlio, come segno di una fede totale in Dio.
Sion è il monte dove Dio mette alla prova della verità il nostro si.

Sinai (Horeb), dove Mosé, ricordando l’esperienza dell’incontro con Dio nel roveto ardente, dice che “Il Signore vi parlò dal fuoco, voi udivate soltanto una voce di parole, un suono di parole, ma non vedevate alcuna figura”.
In quel luogo abbiamo ricevuto la Legge che non tramonta e dove conosciamo la potenza di Dio e le sue illuminazioni.

Sul Tabor Gesù ha mostrato ai suoi tre discepoli prediletti la propria Gloria nella Trasfigurazione.
E’ il monte delle “tre tende”, il luogo dove ristorarsi nella visione contemplativa di Dio e godere della Sua Presenza.
Luogo del consolazione e della rivelazione.

Il Monte degli Ulivi, alle cui pendici stava il Getsemani, il giardino dove Gesù essudò sangue per il gran soffrire, come preludio alla Passione del Venerdì Santo.
A questo Monte sono legati tanti avvenimenti della storia ebraica, contenuti nell’Antico Testamento.
E a questo Monte, secondo le dichiarazioni dei profeti, è legato un avvenimento futuro. E’ infatti il luogo prescelto da Dio per il giorno del Giudizio e la risurrezione degli uomini retti, quando tutte le nazioni saranno fatte scendere nella Valle di Giòsafat (Valle del Cedron) e il Signore poserà i suoi piedi spaccando il Monte in due.
Luogo del giudizio, del momento definitivo.

Calvario. Basta il nome ad evocare dolore brutale, apparentemente senza ragione. Privo di bellezza perché  ad un primo sguardo inutile. Scandalosa. Un Dio vero non si fa uccidere in quel modo orrendo. Un Dio vero non si fa uccidere.
Eppure è proprio grazie a questo dolore in apparenza privo di senso se la Storia umana, la nostra storia, ha cambiato rotta.
Da Quel giorno, Calvario è il luogo del dolore e dell’offerta totale di se stessi. Offerta d’amore feconda, fino alla fine dei secoli. Perché così è stabilito.

Ed oggi possiamo celebrare con gioia, insieme a tanti, la festa della Madonna del Carmelo. La festa di una salita faticosa, a tratti buia e indecifrabile, verso la propria cima. Accompagnati da una mano materna.

"Dio non è nel vento che spacca la roccia, non è nel fulmine, nella folgore, non è nel terremoto che sommuove la terra", ma semplicemente Dio è in “un mormorio di vento leggero”.
Voce. Suono. Silenzio.

E’ tutto quanto ci accompagna nel nostro cammino verso la cima. Verso la nostra Montagna. Felice cammino.


lunedì 14 luglio 2014

Voglio farmi bella

Voglio farmi più bella. Ho deciso di iniziare dal viso.

Voglio rifarmi il naso.
E’ tanto che desidero ritrovare quelle tonalità fiorite che non sento più. Sono passati gli anni, ho quasi dimenticato la vivacità dei toni freschi e frizzanti di certe piante mediterranee che partoriscono fiori tanto piccoli da risultare quasi insignificanti, ma che sanno suscitare emozioni intraducibili.  E poi, quel profumo di pulito, alla lavanda, quel profumo di lenzuola stese ad asciugare al sole, all’aria, nei terrazzi. Profumo di quotidianità.

Voglio rifarmi gli occhi.
Desidero togliere dallo sguardo quella piega amara che tradisce il tempo passato inutilmente. Cercando lontano quel che avevo davanti a me, quello che già mi stava a fianco. Voglio ritrovare lo stupore dei primi anni, quando gli occhi esploravano con curiosità la vita, senza pregiudizio, senza certezze. Occhi pronti a gioire dei colori. Pronti ad esplorare la notte senza paura, sapendo che il sole ritorna sempre.

Voglio rifarmi le orecchie.
Basta coi suoni inutili, con le brutte parole, col rumore incessante e frenetico. Con le risate prive di gioia. Ho voglia di voci di mamme amorevoli, voci di nonne sagge, di canti di ninnananna, di carillon, di campane, di grida di bambini nei parchi. Di giochi tra ragazzi, di canti di uccelli e miagolii nella notte. Gabbiani e passeri. Suoni di cantieri, di fabbri, calzolai che battono chiodi, falegnami che segano assi. Suoni di uomini al lavoro.

Voglio rifarmi la bocca.
Ridarle il rosso vitale di un sorriso amichevole, tracciarne i confini con lo stupore di una preghiera accorata. Addolcirne l’interno con parole di amore per riassaporare la gioia dell’incontro. Chiunque si presenti alla tua porta. Tacere in un silenzio di ascolto. E quando necessario partecipare con la parola alla creazione di un mondo migliore.

Voglio rifarmi gli zigomi.
Per ritrovare quella rotondità nel colore, la preziosità del rossore che proviene dal pudore delicato, ben diverso dal rossore di vergogna di un cattivo pensiero, di un’azione colpevole, di un cammino sbagliato.

Voglio infine rifarmi i capelli.
Una folta chioma lucente, segno della presenza di una vita interiore che abbellisce anche le parti più lontane dal centro. Così come le fronde lucenti e fresche di un grande albero sono segno della presenza di sane radici.

Voglio farmi bella.
Ma di quella Bellezza che è tanto antica e sempre nuova.
Come quella del Vangelo.

Bellezza che sant’Agostino ha mirabilmente descritto.
Tardi ti ho amato,
bellezza così antica e così nuova,
tardi ti ho amato.
Tu eri dentro di me, e io fuori.
E là ti cercavo.
Deforme, mi gettavo
sulle belle forme delle tue creature.
Tu eri con me, ma io non ero con te.
Mi tenevano lontano da te
quelle creature che non esisterebbero
se non esistessero in te.

Mi hai chiamato,
e il tuo grido ha squarciato la mia sordità.
Hai mandato un baleno,
e il tuo splendore
ha dissipato la mia cecità.
Hai effuso il tuo profumo;
l'ho aspirato e ora anelo a te.
Ti ho gustato,
e ora ho fame e sete di te.
Mi hai toccato,
e ora ardo dal desiderio della tua pace.



Bolla di dolore


A volte il dolore ci chiude dentro una bolla. Il mondo fuori, quel brutto mondo pieno di pericoli, insidie e inganni. Quel mondo che non sa e che non vuole capirci. Noi dentro la nostra bolla. Separati da una sottile parete, trasparente, fragile, attraverso la quale chiunque può percepire e osservare la nostra fatica. Chiunque ne abbia il tempo, spinto da amore o da interesse oscuro.
La nostra bolla di dolore, dentro la quale tentiamo di proteggerci da altro male, a lungo andare si rivela per ciò che in realtà è: una gabbia. Una prigione.
Penso a quei momenti di buio, che ognuno di noi ha sperimentato nella vita, nei quali sembra tutto perduto e non ci sono vie d’uscita. Vittime degli errori altrui. O degli avvenimenti della vita che ci piovono sul capo d’improvviso lasciandoci senza più fiato.
Ma esiste anche un’oscurità che noi stessi ci procuriamo con le nostre mani, con i nostri errori. Oscurità che non produce frutto, ma solo sofferenza, una sofferenza ancora più grande, perché intuiamo di esserne la causa ed è gravata dei sensi di colpa.
E ci si ritrova prigionieri del dolore. Prigionieri di noi stessi. Rinchiusi dentro la bolla.
Così, il tempo trascorso nel tentativo di allontanare il male da noi, si traduce in un male più grande.
Perché chiudersi al rischio del male, al rischio di ulteriore dolore, vuol dire anche chiudersi alla speranza del bene. Della guarigione. Della gioia.
Perché il dolore accettato, compreso come mistero oscuro ma fecondo, dà frutto. Come un germe di grano, sotto la coltre di neve, fermenta di vita nuova, così sotto un paesaggio che ci appare ormai privo di vita, già cova una rinascita. La nostra.
Fuori dalla nostra bolla, Dio fa trovare sempre e ad ognuno una mano tesa che aspetta solo un cenno per accompagnarci verso un caldo raggio di luce.
Anche a una piccola fiamma di una candela è dato il potere di dissipare le tenebre.


sabato 12 luglio 2014

Lavoro da minatore

“Per scendere là sotto – dice un anziano minatore sardo in una bella intervista – bisognava spogliarsi di tutto: della stupidità, dell’intolleranza, dell’orgoglio. Bisognava dimenticarsi di avere dei nemici, perché là sotto era importante adattarsi agli altri. In miniera si lavora fianco a fianco.”



Inevitabile il paragone. Penso ai nostri posti di lavoro: aria condizionata d’estate, tepore d’inverno, bagni asettici e uffici puliti. Ma prima di varcarne la soglia, siamo sicuri di lasciarci dietro ciò che ostacola davvero il nostro lavoro, qualunque sia, e cioè lo spogliarsi della stupidità, dell’intolleranza, dell’orgoglio?
Si, il lavoro beato chi ce l’ha.

Ma ancora più beato chi nel lavoro mette al primo posto, come attitudine indispensabile, la propria umanità.

mercoledì 9 luglio 2014

Abbi fede

Abbi fede in Me.

Spalanca il tuo cuore
e fammi entrare.

Portami in ogni tuo passo
ricordami in ogni pensiero
consolami col tuo amore sincero.

Lasciami un posto sul tuo cuscino
porgimi un piatto della tua mensa
scaldami tra le tue mani giunte.

Cercami nel fango
di una vita sbagliata,
strappami all'angoscia senza speranza,
prenditi cura delle Mie pene.





Trovami anche nel buio.

Cercami dove non sembro.

Spalanca il tuo cuore,
la tua Porta del Cielo.

Io sarò in te,
Tu sei già in Me.

(Patrizia)

sabato 5 luglio 2014

Telefono muto


“Il mio telefono non squilla più. Nessuno ha più bisogno di me.”
Quante volte abbiamo sentito questa frase, oppure l’abbiamo semplicemente intuita dallo sguardo un po’ ferito e già distante di chi ha smesso di sperare. Ha smesso di credere.
E si ritrova a fare i conti con la propria vita. Solo con se stesso.

Un telefono che tace in un silenzio diventato assordante.

Ma in certi momenti della vita possiamo scoprire che quello vediamo e viviamo è solo una parte della realtà. Ed è importante mettersi sempre in ascolto, anche quando tutto sembra tacere.
Esistono fili invisibili attraverso cui passa una voce.
Esistono onde nell’etere che si infrangono lungo l’argine della nostra coscienza e ci parlano di luoghi che attendono  di essere conosciuti.
Esistono bande larghe tanto da contenere altre strade che ci indicano una nuova via. Un nuovo cammino.

Quella voce, quei luoghi, quel nuovo cammino, possono essere scoperti soltanto quando intorno si fa silenzio.

Nel silenzio di un telefono che non squilla più…

venerdì 4 luglio 2014

Mi hai chiamata

Mi hai chiamata all'esistenza.
Ora mi chiami ad essere.
A cercare, e donare, ciò per cui mi hai creata.

Mi cerco.
Trovo Te...



giovedì 3 luglio 2014

Il diamante

Stamattina riflettevo sulle litanie, le invocazioni che si pregano al termine del rosario.
Come queste rivolte a Maria – estratte dalle litanie lauretane:

Vergine fedele, prega per noi
Specchio di perfezione, prega per noi
Sede della Sapienza, prega per noi
Fonte della nostra gioia, prega per noi
Tempio dello Spirito Santo, prega per noi
Tabernacolo dell'eterna gloria, prega per noi
Dimora consacrata a Dio, prega per noi
Rosa mistica, prega per noi
Torre della santa città di Davide, prega per noi
Fortezza inespugnabile, prega per noi
Santuario della divina presenza, prega per noi
Arca dell'alleanza, prega per noi
Porta del Cielo, prega per noi
Stella del mattino, prega per noi.

C’è qualcosa che affascina, al di là della loro oggettiva bellezza e poesia, come se custodissero un significato ancora più profondo rispetto a quanto già appare con evidenza. 

Un tesoro prezioso. 
Emanazione di Verità misteriose.
Emanazioni divine.

L’immagine che mi suscita è quella di un meraviglioso e lucentissimo diamante dalle infinite sfaccettature, come infinita e umanamente insondabile è la Bellezza del nostro Dio, Uno e Trino.
E noi, fatti a Sua immagine, siamo stati pensati e creati per la Sua Gloria. 
A noi ritrovare, con la Sua Grazia e attraverso un cammino di umiltà, quella Luce da cui siamo stati creati.

Ama il Signore Dio tuo. E ama il tuo prossimo come te stesso. Perché è grazie all’amore, che tutto purifica, che ognuno potrà riflettere un aspetto delle Sue infinite virtù. Una piccola parte di quel meraviglioso diamante di Luce. Tutti in Dio.