lunedì 25 agosto 2014

Cuore abbandonato

Ho trovato un cuore nascosto sotto un mucchietto di cenere. Da ancora dei sussulti, lievi, timidi.
Deve essere caduto a qualcuno troppo frettoloso e distratto, perso in un tempo dove non c'è più tempo neppure per se stessi. O forse è stato perso in un conato di razionalità, quella tagliente e lucida, che ruba senza pietà lo spazio del cuore.
Caldo, ancora umido di sangue rosso e lucente. I due ventricoli pare si fronteggino nel cercare di trattenere tutto per sé il liquido prezioso ancora in circolo. Chissà a chi apparteneva. L'ho quasi calpestato mentre contemplavo rapita un camino immenso, quasi un forno crematorio, posto al centro di una arena dove ogni giorno si ripete lo spettacolo della battaglia per la conquista del posto migliore. Stavo lì, imbambolata davanti a quella bocca vorace che sembrava aspettare con infinita pazienza qualcuno da inghiottire nelle fauci antropofaghe. Una specie di subdolo mostro pronto a divorare tempo e pensieri. Il crepitio della fiamma grande come un incendio mi ipnotizzava, trattenendomi in quel paesaggio surreale sepolto dalla cenere, dove qualcuno aveva perduto il cuore. Povero cuore abbandonato.
Fuori dal corpo, la tua sorte è segnata. Potrei farti uno spazio nel mio petto, ma vorrei prima avere il tempo di capire cosa ti porti dentro. Sai, ho paura dell'odio, non mi piacciono gli scatti d'ira, temo l'angoscia. Ma nel tuo battito lento e ritmato mi pare di cogliere un grande bisogno di verità. Ora sento che pulsi all'unisono col mio. Solo che tu sei un po' affaticato. E' normale, vista la situazione.
Vorrei poterti fare delle domande ma so bene che non mi puoi rispondere. Magari potresti provare a cambiare il tuo ritmo per darmi dei segni di assenso o diniego. Non è poco.
Parlo con te. Ho bisogno di te. Ho bisogno che tu continui a vivere. La cenere calda ha conservato in te la vita quel tanto che basta per essere trovato. A questo punto avrai capito che la tua unica speranza di vita è di essere accolto in un corpo amorevole. Non so se io ne sono capace, ma ci voglio provare. Col tuo aiuto.
Tremi, hai paura. Eppure questa è l’unica via: entrare nell’altro.
Forse il tuo vecchio padrone ti aveva gelato col freddo del suo egoismo. Forse ti sei gettato fuori dal suo corpo a capofitto, rischiando di morire sul colpo, o di rimanere schiacciato sotto i piedi di qualcuno, o di consumarti in una crudele agonia.
Non so quale sia la tua storia, e non m'importa neppure. Ciò che invece voglio è offrirti l'urgenza che ti è dovuta. Vuoi vivere? I battiti accelerati mi dicono di sì. Ora andremo insieme verso la fiamma vitale che permetterà l'intimo incontro tra noi. Io sono pronta.
Ecco, le mie mani a coppa ti accolgono come una culla.
Io credo... credo nell’Amore. Ora sei in me, pulsi in me, vivi in me, ridi con me, piangi con me, per me, dentro di me, con me senti, conosci, ami.
Non c'è confine che ci separa, non è mai esistito. Ti ho trovato fuori dal mio corpo, buttato, abbattuto, ma eri mio, sei sempre stato mio.
Perché la tua vita è parte della mia stessa vita. E la mia è parte della tua. Ora forse l’hai capito anche tu. Siamo figli dello stesso Padre. Un Corpo solo.

sabato 23 agosto 2014

Notte di fine estate

Notte serena. Notte di un’estate non ancora conclusa. In lontananza guardo la via lattea caduta lungo la riva del mare, una lunga linea di stelle gialle che palpitano a distanze regolari. Brillano come parole luminose e parlano di vita da vivere. Raccontano storie di sogni e desideri che aspettano pazienti un giorno in cui nascere.

Notte di fine estate. Domani la vita riprende come un fiume il suo letto. Lo scorrere delle ore levigherà in segreto ogni residua asperità e dall’attrito sommesso si leverà la musica.
Si attenua man mano l’affanno dell’attesa. Le stelle sussurrano nuove storie.

giovedì 21 agosto 2014

Il fotografo

"Mi dai la mano?" – chiede lui. Ma la ragazza lo guarda con gli occhi attoniti di chi ha visto troppo per la sua giovane età. Sembra non capire.
Appostato nell’ombra, un cecchino aveva colpito sette birilli con braccia e gambe, lasciandoli stesi in mezzo alla polvere tinta di rosso. Lei si era salvata fuggendo come una lepre davanti al cacciatore e si era andata a nascondere dietro un portone verde speranza, dove stava rintanato un altro cacciatore. D'immagini.
Con voce calma le ripete: "Mi dai la mano?". A quella strana domanda segue un silenzio che odora di terra bruciata, di zolfo infernale. Tutt'attorno, come una cappa, un fetore di morte. Ancora alcuni colpi di fucile. Poi, di nuovo, silenzio. Lei guarda l'uomo attraverso il muro della sua disperazione, tirato su troppo in fretta da cuori crudeli. Con gesto lento, gli tende una mano fredda e sudata. Le loro mani si annodano. Quelle dita incrociate parlano di bisogni sepolti sotto cumuli di macerie, raccontano sogni mai sognati.
Una granata esplode in lontananza, cupa, feroce. Poi muoiono anche i suoni. Da bambina, solo pochi anni prima, le avevano raccontato che il silenzio era la musica degli angeli. Ma quello che ora l'avvolge è una musica oscena e irreale. La stretta di mano si fa più intensa. I battiti del cuore dilatano le sue pupille, già così piene di rovine.
"Quanto manca a domani?" – sussurra lei, come parlando a se stessa.
"Perché? - chiede l’uomo in tono leggermente stupito - hai qualcosa d'importante da fare domani?".
"No".
"Allora? Perché vuoi saperlo.”
"Così...".
Un brivido sulla schiena le congela i pensieri. Lui l’accoglie tra le braccia e insieme si siedono su un gradino consumato da infiniti passi. Aspettano. Forse un momento di calma per tornare da qualche parte di quel mondo sottosopra.
"Fai le foto?" – sussurra la ragazza.
"Sì. Lavoro per un giornale italiano".
"Chi te lo fa fare?".
"Cosa?".
"Stare qui. Rischiare la vita".
"Oh, certo, non mi costringe nessuno. Ma sai, credo ancora nella pace. Credo nella forza della verità. Nell'amore. Credo ancora nell'uomo…”
Senza accorgersene, le stringe più forte la mano. Gli occhi fissi verso un punto indefinito, sussurra:
"Sai, adesso noi, qui, proprio qui, siamo seduti davanti alla porta del futuro. Io lotto per poterti ancora dire che qualcosa cambierà".
La ragazza lo fissa a lungo, poi, con un filo di voce, replica:
"Anch'io voglio sperarlo... ma non ci credo più".
"Non arrenderti. Non farlo mai! A proposito... domani è domenica…"

martedì 19 agosto 2014

La vecchiaia

Masticava in silenzio
la sua vecchiaia
tra i sussulti
di un pullman di città.

Tra le mani un bastone,
più generoso di un figlio.
Lo sguardo ormai spento
tradiva la resa al silenzio
di un intorno indifferente.

Quale vita al mondo
avrebbe riscattato
il dolore dell’amore mancato.
Le domande cadevano giù
dal sedile un po’ unto,
tra brusche frenate
e inciampi di mente.

Chi sa dire lo spreco.

Le domande si impigliavano
tra i granelli di polvere del finestrino,
come schermo
in cui scorre un film visto e rivisto. 
Chi sa dire lo spreco.

Un universo quasi immobile,
avvolto in un bozzolo di tempo,
a segnare i confini precisi
della sua solitudine.
Potevi vederlo tremare
come un bambino pieno di paura.

Un’altra fermata,
uno sbuffo sinistro dei freni,
cambio di gente.
Lui lì,
affondato in un freddo presente,
oltre le voci chiassose,
oltre il ricordo di Dio,
verso il mistero del dopo.

Chi sa dire lo spreco…

venerdì 15 agosto 2014

Donna vestita di sole

“Una donna vestita di sole, con la luna sotto i suoi piedi e sul suo capo una corona di dodici stelle.” Oggi il Vangelo ci parla di Lei, l’Assunta, la donna ammantata nel tempo dei giorni, delle notti, delle fasi lunari. Il nostro tempo umano. Ci parla di una Donna che ha respirato la nostra stessa aria, ha calpestato coi suoi piedi leggeri la terra, si è soffermata con un dolce sguardo sulle bellezze del Creato e con la sua voce di canto ne ha lodato il Creatore.
Come noi, ha sentito il calore del sole, ha patito il freddo dell’inverno, i morsi della fame e della sete. Ha amato, sofferto, gioito. Ha vissuto la tristezza dell’esilio, condiviso la sua povertà coi più poveri.
Ha vegliato le notti in preghiera, china sul viso di un bimbo speciale, un bimbo che fin dal primo istante di vita aveva rovesciato il suo piccolo mondo verginale. In attesa di rovesciare i potenti dai troni. E innalzare l’umiltà della Sua serva fino al più alto dei Cieli.
Ora il Cielo attende un altro si. Il nostro.
Salve Regina.


mercoledì 13 agosto 2014

Le donne senza nome del Vangelo

Le donne senza nome del Vangelo. Ieri si è conclusa la bellissima serie di incontri del martedì a cura di monsignor Mario Ledda sulle donne sconosciute che hanno avuto un contatto con Gesù nel corso della Sua vita terrena. Donne senza volto e senza identità. Donne dal grande cuore, capaci di grandi gesti in nome dell’amore. Come ancora oggi, come sempre. Donne che lottano per il riconoscimento della propria dignità umana e del proprio posto nel mondo.
Donne piene di coraggio e pronte al dono totale di sé. A costo di trasgredire ogni norma sociale, se per un fine più alto e in nome dell’amore.
Perché, come osserva monsignor Ledda, “la donna va avanti e compie quanto ha in  animo di compiere. Le donne del Vangelo difficilmente si fermano...!”
Non per niente Gesù ha posto una Donna come fiaccola ad illuminare la via di ogni uomo e dell’umanità tutta. Una Donna silenziosa e forte, coraggiosa e amorevole, vera discepola di Cristo. Una Madre. Sua Madre. Maria. 

sabato 9 agosto 2014

La fede ha i calli ai piedi

La fede ha i calli ai piedi…
Non siede su comodi troni: la trovi in cammino.
Percorre strade sconosciute, a volte immerse in un buio profondo. Strade silenziose, tracciate tra macerie di certezze antiche. Strade strette come fili. A volte scompaiono in un intrico di dubbi. E ritrovarle è una gioia segreta.

La fede ha gambe forti…
Si arrampica sui cumuli di offerte alternative, poste a sbarrare la strada e deviare il percorso, poste a indebolire lo spirito. E scavalca ostacoli ingannevoli, smaschera miraggi, si fa più forte ad ogni prova.

La fede ha mani grandi…
Mani pronte a stringere l’aratro, tenaci come morse nella stretta, perché il lavoro è duro e girarsi indietro è un attimo. E arriva subito sera.

La fede ha un cuore puro…
Ha un cuore di bimbo. Perché è nel petto dei bimbi che ancora abita il coraggio dei santi.
Nei loro cuori il cielo si riversa, come in uno specchio, per riflettersi ancora quaggiù in terra.

La fede ha il respiro corto…
Ha il respiro dell’affanno, del lavoro compiuto ogni giorno senza sconti, con amore. Ed ogni passo, ogni respiro, ogni affanno, ogni gesto, ogni attimo di silenzio, raccontano le parole d’amore che non sai di dire.
E alla sera, quando tutto fuori finalmente tace, si accorda al ritmo del giorno che viene.

La fede ha i tuoi occhi…
Occhi  di chi è stato chiamato a nuova vita.

La fede ti guarda. Ha grandi occhi, ricolmi di carità. E col suo sguardo, ti rianima di speranza.

giovedì 7 agosto 2014

Idolo o modello?

Idolo o modello? Non è una domanda da poco e per pochi. Al contrario, ci interroga nel profondo. Da questa risposta discendono due stili di vita e due percorsi radicalmente differenti.
Nell’idolo divinizziamo ciò che non è Dio. Potere, denaro, razza. O un altro essere umano, che allora viene riverito e onorato al posto di Dio.
La Sacra Scrittura ci ricorda che gli idoli sono solo «argento e oro, opera delle mani dell'uomo », e che «hanno bocca e non parlano, hanno occhi e non vedono... ».
Noi viviamo immersi in un mondo che propone e promuove l’idolatria. A partire dall’infanzia. Ci muoviamo in mondo che pullula di idoli, che hanno bocca e non parlano, hanno occhi e non vedono.
L’idolo è lontano dalla nostra vita. Suscita invidia, perché irraggiungibile.
Il modello no. Un modello positivo suscita ammirazione. E’ qualcuno in carne ed ossa, un genitore, un fratello, un amico, un insegnante, che ci indica una strada da seguire. Ci rivela un percorso che conduce alla realizzazione di noi stessi attraverso l’utilizzo delle nostre potenzialità e talenti, che tutti abbiamo in dotazione alla nascita. Come un bagaglio per il viaggio quaggiù.
E’ però necessario non identificarsi con i modelli, seppure positivi, perché questo impedisce di ascoltare le proprie attitudini.  Un modello è qualcosa non solo da ammirare, ma da imitare. Implica un lavoro da parte nostra, ci impegna a tirare fuori il meglio di noi stessi.
Perché la grande sfida è scoprire e mettere a frutto le qualità di cui siamo dotati e offrirle per il bene comune.
Per un cristiano, il modello per eccellenza è Gesù.
Purché non lo riduciamo, seppure inconsapevolmente, ad un idolo lontano e irraggiungibile.
Gesù si è fatto carne, comunica con la nostra carne. Tocca le nostre ferite, di qualunque natura siano, per guarirci. Perché Gesù, il Dio vero, si è fatto Uomo per noi. Vive con noi. In noi.
Il Corpo mistico di Cristo siamo noi. Con le nostre carni malate e sfatte. Ma desiderosi del Suo Amore.
Solo quando abbandoneremo l’idea di un Dio lontano, un dio/idolo, riusciremo davvero a seguirLo e ad imitarLo. Consci di tutte le nostre miserie.



lunedì 4 agosto 2014

Tra desiderio e dono

Se desideriamo un abito, delle scarpe, o qualunque altra cosa da indossare, ci preoccupiamo di cercarlo della taglia giusta, lo proviamo perché sia adatto al nostro corpo, alla nostra persona.
Se desideriamo un’auto, una casa, o qualunque altro bene da acquistare, lo cerchiamo sulla base delle nostre possibilità economiche, o almeno così sarebbe prudente e corretto agire.
Ma non sempre i nostri desideri sono rivolti a beni di consumo: a quel punto le cose cambiano.
C’è il rischio, allora, che le aspettative messe in moto dal desiderio oltrepassino di gran lunga le reali possibilità. Succede che non siamo più in grado di riconoscere l’irragionevolezza di un desiderio volato troppo in là. Non riusciamo ad accettare di non essere soddisfatti nel nostro ipotetico bisogno.
C’è il rischio, allora, che ci si aggrappi ad un ipotetico diritto. E si arriva a pretendere, percorrendo ogni possibile strada, anche estrema, ciò che è solo un dono. Dono di Dio. Come nel caso di un figlio.
Oggi Gammy - bambino gemello affetto da sindrome di Down - è sceso giù dal cielo per dirci qualcosa di molto importante. La sua mamma ha accettato di prestare il suo grembo in affitto, a pagamento, per conto di una coppia australiana che, avendo saputo della sua malattia, ha deciso di prendere con sé soltanto la gemellina sana, lasciando quello “difettoso” al suo destino.
Questa terribile storia ha fatto il giro del mondo, sollevando una serie di problemi legati alla pratica sempre più diffusa di “ordinare” un figlio a pagamento, quando la coppia è impossibilitata ad averne.
Gammy, col suo piccolo bagaglio di sei mesi di vita, ha una grande missione da compiere: quella di insegnarci che un desiderio legittimo di maternità e paternità non può passare sopra la vita stessa di chi ti prepari ad accogliere in casa, fosse pure la migliore del mondo.
La bellezza di una casa è data dall’amore che vi regna, dal rispetto dell’altrui identità.
Gammy ha trovato poca accoglienza in chi avrebbe dovuto difenderlo e amarlo.

Ma grazie a lui, forse oggi qualcuno rifletterà. 

domenica 3 agosto 2014

L'ambulante

Ferma al semaforo, dal finestrino semiaperto una mano mi porge un pacco di fazzoletti. Alzo lo sguardo e incrocio due occhi neri e lucidi, supplichevoli e muti.
Apro completamente il finestrino e gli dico, con un sorriso, che non ho nulla con me.
Lui guarda la macchina nera e lucida, come i suoi occhi, vedo che forse non ci crede. Ma non cambia sguardo. Scambiamo due parole sulla crisi di lavoro, sulle difficoltà che sempre più attanagliano le vite di ognuno, anche se in misure e in modi evidentemente differenti.
E' scattato il verde. La sua voce è amorevole mentre dice: “Grazie per avere almeno parlato con me”.
Ho messo la prima e sono partita.
Mi sono girata giusto un attimo per sorridergli ancora. Immobile al lato della strada, con un cenno gentile mi ha salutato mentre sorrideva mesto…