lunedì 14 luglio 2014

Bolla di dolore


A volte il dolore ci chiude dentro una bolla. Il mondo fuori, quel brutto mondo pieno di pericoli, insidie e inganni. Quel mondo che non sa e che non vuole capirci. Noi dentro la nostra bolla. Separati da una sottile parete, trasparente, fragile, attraverso la quale chiunque può percepire e osservare la nostra fatica. Chiunque ne abbia il tempo, spinto da amore o da interesse oscuro.
La nostra bolla di dolore, dentro la quale tentiamo di proteggerci da altro male, a lungo andare si rivela per ciò che in realtà è: una gabbia. Una prigione.
Penso a quei momenti di buio, che ognuno di noi ha sperimentato nella vita, nei quali sembra tutto perduto e non ci sono vie d’uscita. Vittime degli errori altrui. O degli avvenimenti della vita che ci piovono sul capo d’improvviso lasciandoci senza più fiato.
Ma esiste anche un’oscurità che noi stessi ci procuriamo con le nostre mani, con i nostri errori. Oscurità che non produce frutto, ma solo sofferenza, una sofferenza ancora più grande, perché intuiamo di esserne la causa ed è gravata dei sensi di colpa.
E ci si ritrova prigionieri del dolore. Prigionieri di noi stessi. Rinchiusi dentro la bolla.
Così, il tempo trascorso nel tentativo di allontanare il male da noi, si traduce in un male più grande.
Perché chiudersi al rischio del male, al rischio di ulteriore dolore, vuol dire anche chiudersi alla speranza del bene. Della guarigione. Della gioia.
Perché il dolore accettato, compreso come mistero oscuro ma fecondo, dà frutto. Come un germe di grano, sotto la coltre di neve, fermenta di vita nuova, così sotto un paesaggio che ci appare ormai privo di vita, già cova una rinascita. La nostra.
Fuori dalla nostra bolla, Dio fa trovare sempre e ad ognuno una mano tesa che aspetta solo un cenno per accompagnarci verso un caldo raggio di luce.
Anche a una piccola fiamma di una candela è dato il potere di dissipare le tenebre.


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